Il divano letto Jl1 di James Irvine

Il divano letto disegnato da James Irvine nel 1994 illustra alla perfezione l’abilità del designer di superare ogni idea preconcetta per soffermarsi invece sulle esigenze del consumatore a cui il prodotto è destinato.

Nel mondo dell’arredamento domestico, gli anni Novanta hanno visto il diffondersi di mobili multifunzionali e modulari la cui versatilità ha consentito la sovrapposizione tra spazi pubblici e privati.

Pareti divisorie spostabili e mobili modulari consentono a queste zone di confluire, se necessario, l’una nell’altra.

Nello stesso periodo, inoltre, l’arredamento di interni ha goduto  dell’introduzione di nuovi materiali, moderni, di facile manutenzione e funzionali, fino ad allora impiegati esclusivamente nei settori dell’industria e del tempo libero.

Il valore di un mobile derivava dall’originalità e dalla bellezza del suo design, che doveva essere creativo, non passare inosservato, ed essere pratico, facile da spostare e pensato per la moderna casa urbana.

La seduta del divano di Irvine è costituita da un pannello di MDF, un pannello di fibra a bassa intensità, poggiato su piedi in acciaio laccato. Il sedile, rivestito in tessuto di lana, è in schiuma espansa ad alta densità e poliuretano.

L’ingegnosità del design appare evidente nella facilità con cui il divano si trasforma in letto, semplicemente abbassando lo schienale.

Laureatosi nel 1984 al College of the Arts di Londra dove ha studiato design di mobili, James Irvine in seguito si è trasferito a Milano, dove fino al 1993 ha lavorato per lo studio di design Olivetti e, fino al 1997, è stato uno dei partner della Sottsass Associates.

Nel 1988 ha vissuto a Tokyo, lavorando per lo studio di design della Toshiba.

Oggi lo studio di Irvine si occupa di prodotti di design industriale e tra i propri clienti conta aziende del calibro di Canon, Artemide e Whirlpool. Il suo obiettivo, ha spiegato Irvine, è di creare prodotti che le persone vogliano davvero, non perché qualcuno fa credere loro che senza di essi sarebbero dei falliti.

«lo penso al consumatore che utilizzerà i miei prodotti; non contribuisco a creare quella cortina di fumo che molti creano. Prima di decidere cosa fare troppi produttori si tengono d’occhio reciprocamente, anziché pensare al consumatore medio».

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